Gli ultimi costumi a partire per il castello Odescalchi di Bracciano saranno i due inventati da Fonteray per il mitico «Barbarella» di Vadim con Jane Fonda: una tutina di filanca bianca con pettina e perizoma in maglia metallica con un copri-seno unico, da amazzone, in plastica verde. E quarant’anni dopo in sartoria ancora si favoleggia di quel calco preso sul seno di Jane Fonda, il più perfetto che si sia mai visto. In realtà, spiega Luigi Piccolo, detto Giuti, alla friulana, dalla morte del fondatore Piero Farani titolare di questa che è una delle più celebri sartorie del mondo dello spettacolo, i costumi di «Barbarella» al Castello Odescalchi non ci dovevano essere.
La mostra, che si aprirà con un festone la notte del 13 giugno per chiudersi cinque mesi dopo a novembre, non li prevedeva. Gli oltre cento pezzi sono stati scelti in parte tra gli abiti d’epoca, una collezione magnifica che parte dal settecento e serve per ispirarsi il più fedelmente possibile ai modelli autentici, e in parte tra i costumi costruiti per il cinema, il teatro, la lirica dagli Anni Sessanta fino ai nostri giorni. Per adattarsi allo stile del castello si è, infatti, deciso di esporre nelle sale del secondo piano gli abiti d’epoca, in una loggia tutto quello che era stato inventato per i «Clown» di Fellini, nell’enorme guardaroba al piano terra i più famosi costumi usciti dalla sartoria. «Barbarella» col castello non c’entrava. Ma dal momento che il film di Vadim ha segnato un’epoca, che nello stesso momento la maglia di metallo aveva cominciato a lanciarla in passerella Paco Rabame, che il costumista Fonteray e lo stilista Rabame si sono contesi a lungo il titolo di averla copiata per primo dal grembiule dei macellai dei mercati di Les Halles, a furor di popolo, i costumi di Jane Fonda hanno trovato posto in un salone, segno di immutata modernità.
La sartoria Farani che oggi è ospitata in una ex grandissima tipografia tra Trastevere e Monteverde, era nata in viale Mazzini, a due passi dalla Rai, da una improvvisa fascinazione per gli abiti da scena di Piero Farani, attore radiofonico a Torino, che, trasferitosi a Roma per far carriera, era diventato amico di Zeffirelli, Paolo Poli, Cobelli, Volonté, ma soprattutto del grandissimo scenografo Danilo Donati, il quale gli chiese poi di lavorare per lui. Ed è con Donati, oltre che con una infinità di altri nomi, che, quando Farani si mette in proprio, la sua sartoria diventata un punto di riferimento per lo spettacolo italiano e internazionale. Se non tutto, molto di quel che si vede a cinema, a teatro, nella lirica è uscito dalle mani di questo laboratorio artigiano.
Dai costumi di «Romeo e Giulietta» di Zeffirelli premiati con l’Oscar a quelli per gli Studio Uno televisivi di Antonello Falqui, dalle magnifiche invenzioni realizzate per quasi tutti i film di Pasolini, fino alle creazioni fantasiose di Milena Canonero per la «Marie Antoinette» di Sofia Coppola. A questa sartoria si sono affidati Coltellacci, Frigerio, Lele Luzzati, Santuzza Calì, la Squarciapino, Pagano, Viotti, Maurizio Balò e oggi i giovani Alessandro Ciammarughi e Alessandra Torella. La mostra del castello Odescalchi esibisce solo una piccolissima parte di questo patrimonio: ben duecentocinqunta costumi, per volontà di Piero Farani, sono finiti a Parma con la promessa che avrebbe costituito il primo nucleo di un Museo del Costume, mai realizzato.
Molte le cose interessanti o curiose. La giacca di lana fuori misura di Totò in «Uccellacci e uccellini». Le marsine settecentesche di Donald Sutherland in «Casanova» e il frac blu di Marcello Mastroianni in «Intervista», entrambi di Fellini». I costumi medioevali di Benigni e Troisi in «Non ci resta che piangere». E adesso? Cosa c’è in cantiere oggi alla sartoria Farani? Giuti Piccolo sospira. «Per il cinema italiano poco o niente. Abbiamo fatto “La meglio gioventù”, ma con straccetti trovati sulle bancarelle. Film in costume da noi non si girano. Si fannno all’estero. Quelli de “I pirati” con Johnny Depp sono usciti dal nostro laboratorio». E allora per chi lavorate? «Teatro e lirica. Stiamo facendo, per esempio, gli abiti da scena creati da Enrico Job per “La vedova scaltra” che dirigerà Lina Wertmüller. Ma stiamo anche adattando dei nostri vecchi costumi per lo Shakespeare di “Molto rumore per nulla” che farà Lavia a Verona. In Italia, gli spettacoli durano al massimo una o due stagioni, quindi i costumi si affittano. All’estero, dove i teatri ripropongono uno spettacolo per oltre dieci anni, li comprano e noi i nostri costumi non li vediamo più».
Piero Farani (nato in provincia di Piacenza nel ‘32 e morto a Roma nel ‘97) aiutava da ragazzino a confezionare gli abiti per una nota famiglia di burattinai di Fidenza. Negli Anni Cinquanta si trasferì a Roma ed entrò come dipendente nella sartoria Annamode, dove si realizzavano costumi per lo spettacolo e abiti d'alta moda. Nel 1962, aprì la sua celebre sartoria a Roma dove sperimentò nuovi tessuti e inventò macchine e telai per appagare la fantasia dei più estrosi costumisti del cinema italiano. La mostra «Costumi a corte», aperta al Castello Odescalchi di Bracciano da mercoledì prossimo all’11 novembre, è visitabile tutti i giorni escluso il lunedì.
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